Big Data Analytics VS coronavirus – l’Artificial Intelligence nella lotta alla diffusione delle malattie infettive.

Non tutti sanno che, quando nel 2002 comparvero nella provincia del Guangdong (Canton), in Cina, i primi casi di decesso causati dal virus SARS (acronimo di Severe acute respiratory syndrome), il diffondersi della patologia fu aggravato dal ritardo con il quale vennero applicate misure di profilassi a tutela della popolazione.

Nonostante la pericolosità del virus, infatti, le autorità cinesi non misero in atto alcuna procedura seria, volta a contenere il contagio, fino al febbraio del 2003, quando avvisarono l’Organizzazione mondiale della sanità dell’esistenza dell’epidemia. Il virus SARS, anche a causa della lentezza e della scarsa efficienza con la quale venne contrastato, fece più di 740 vittime in tutto il mondo.

Questa triste pagina della nostra storia ci insegna quanto sia importante, in casi simili, riuscire a dare una risposta tempestiva per poter arginare la diffusione di virus potenzialmente letali e prevenire il rischio di pandemie.

La lezione appresa 17 anni fa torna ad essere di grande attualità oggi, alla luce della nuova emergenza sanitaria che ci troviamo ad affrontare a causa del contagio da coronavirus che si sta velocemente diffondendo da Whuan, capoluogo della provincia di Hubei, nella Cina Centrale. Il numero delle vittime attualmente registrate ammonta a 106, mentre si parla di quasi quattromila contagiati in tutta la Cina. Lo US Centers for Disease Control and Prevention sta attualmente monitorando 63 casi di contagio acclarati in 22 stati americani.

A differenza di quanto si verificò in occasione dell’epidemia di SARS, stavolta le autorità cinesi si sono mobilitate più rapidamente per contrastare la proliferazione del virus, adottando una maggiore trasparenza e limitando gli spostamenti della propria popolazione, resa consapevole della situazione ed invitata a non lasciare il Paese. Ma soprattutto, ciò che oggi fa la differenza nell’attività contenimento dell’epidemia è la possibilità di sfruttare gli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione, anche in termini di informazioni e prevenzione.

In questo senso basti citare quanto realizzato dalla start up canadese BlueDot, specializzata nel monitoraggio delle malattie infettive, che è riuscita a lanciare l’allarme epidemia ai propri clienti il 31 dicembre, ovvero ancora prima che il CDC e l’Organizzazione mondiale della sanità divulgassero un comunicato pubblico di allerta (emanato rispettivamente il 6 e il 9 gennaio).

Kamran Khan, medico e CEO di BlueDot, afferma di aver creato la sua start up avendo ben compreso, in seguito all’esperienza vissuta in prima persona nella lotta alla SARS del 2002, che la rapidità con la quale si reagisce per contenere la diffusione di virus aggressivi come il coronavirus può fare davvero la differenza in termini di vite salvate.

Il meccanismo di early warning messo a punto da questa start up, fondata nel 2014, si basa sull’utilizzo dell’Artificial Intelligence.

Attraverso la Big Data Analytics la compagnia è riuscita a tracciare e a predire in quali aree geografiche si sarebbe diffuso il coronavirus.

Utilizzando tecniche di Natural Language Processing e Machine Learning, sono stati analizzati i dati delle compagnie aeree, oltre ai report (redatti in 65 lingue diverse) dei ricoveri ospedalieri e a quelli relativi a patologie di piante ed animali, al fine di conoscere ed anticipare il comportamento del virus. Sfruttando questi dati la BlueDot, il cui team è composto da programmatori e medici specializzati, ha potuto prevedere prima di chiunque altro che il contagio si sarebbe diffuso da Whuan, in Cina, verso Bangkok, Seoul, Taipei and Tokyo.

La creazione di sistemi di early warning come quello descritto, grazie all’utilizzo di tecniche di AI, fa ben sperare per il prossimo futuro in una sempre più efficace capacità di controllo e contrasto di queste patologie.

Autore: Claudia Paniconi | Responsabile Marketing DMBI
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